Abbiamo precedentemente visto come il rumore sia considerato oggettivamente come un'irregolarità nella successione dei suoni, e soggettivamente invece come un agente fastidioso, inopportuno e indesiderato. Ma se dovessimo considerare il rumore in relazione al suono complessivo di una produzione sonora, dobbiamo esercitarci nel fare diverse classificazioni:
- La sua natura. E' l'esercizio di individuare la sua provenienza, e se poteva essere evitato o meno, di riconoscerne lo spettro, l'intensità e la presenza continua oppure occasionale.
- Il rapporto con il segnale utile. Equivale a definirne la sua invadenza, se compete con il segnale utile sia in intensità, che in frequenza, che in continuità. Osserviamo che sebbene il rumore per definizione debba essere indipendente dal segnale utile (altrimenti è detto “distorsione”), percettivamente i due segnali interagiscono.
- L'opportunità o meno della sua esistenza. In molti casi il rumore non voluto può essere contestuale all'ambientazione o all'atmosfera in cui si sta operando. Esempio: in una ripresa in strada, un fondo traffico può non disturbare, al contrario, in una scena di un film storico ambientato nell'antica Roma, il traffico non sarebbe di certo opportuno.
- Come è stato confuso. Una volta in possesso del rumore, dobbiamo analizzare come sia stato usato all'interno della registrazione generale, se abilmente miscelato, equalizzato o mascherato. In alcuni casi il rumore può addirittura diventare un elemento connotativo.
Queste sono tecniche molto usate nel montaggio della presa diretta cinematografica e televisiva, in quanto molto spesso le riprese esterne sono inquinate da rumori poco desiderati.
Il processo analitico Soundscape di Murray Schafer è una teoria molto seguita che disegna gli ambienti in base alla peculiarità dei suoni residenti in essi:
Il rumore, può anche avere una funzione linguistica che, in tal caso, si distacca volontariamente dalla consonanza della musica.